"Le mie tre belle corone" è un'antica fiaba siciliana riportata da Giuseppe Pitrè, la cui protagonista è una fanciulla rimasta da poco orfana di madre. La lavandaia, prima di morire, aveva affidato le cure della figlia al prete del paese; ella però non voleva saperne, voleva solo stare con la madre, perciò decise di scappare dalla casa del parroco. Cammina e cammina, la ragazza si ritrovò davanti a un palazzo triste e solitario; entrandovi, notò che tutte le stanze erano sottosopra, perciò iniziò a rassettare, cucinare e fare ogni faccenda domestica possibile per ridare vita all'edificio. Verso sera una signora rientrò esclamando disperata "le mie tre belle corone! Le mie tre belle corone!" ma, accortasi delle pulizie, ringraziò la giovane e le diede le chiavi del palazzo affinché ne diventasse padrona; ella poi raccontò di aver perso i suoi tre giovani figli, "le sue tre belle corone", e che per questo usciva ogni giorno a cercarli. L'indomani, mentre si affaccendava, la fanciulla scoprì una porticina minuscola dietro cui erano nascosti i tre giovani, che un incantesimo aveva reso immobili; ella allora raccolse un'erba magica e, strofinandola sui corpi, resuscitò e nutrì i tre giovani. Al rientro della signora, che si scoprì poi essere l'imperatrice, la fanciulla le disse di organizzare in 8 giorni i festeggiamenti perché lei le avrebbe ritrovato i figli; così fecero e, l'ottavo giorno, la fanciulla si presentò con i tre ragazzi rinvigoriti. Per ringraziarla, l'imperatrice la diede in sposa al suo primogenito, il suo erede, e vissero tutti felici e contenti.